Con le altre due dimore arabe, La Zisa e la Cuba, completa il ciclo dei castelli arabi a Palermo e in Sicilia. Sono l'unico esempio presente al mondo, anche nel Nord d'Africa non ne rimane vestigia alcuna. Sorge nella zona di Falsomiele accedendo da un vicolo di Via Giafar chiamato Vicolo del Castellaccio.
Come nelle mille e una notte fu costruito dall'emiro Ja 'far, in una zona chiamata Maredolce per la ricchezza di acque che provenivano da una sorgente che sgorgava proprio sotto il Monte Grifone, la Fawarah o acqua copiosa dall'arabo e che dava origine al fiume della Favara. La sorgiva dava vita a ruscelli e laghetti naturali e venne dagli arabi protetta da tre archi proprio accanto alla Chiesa di San Ciro, chiamati anche archi di San Ciro, per l'uso che avevano gli arabi di considerare sacre e proteggere le sorgenti. Su questa ricchezza d'acqua venne poi, con argini e ponticelli, creato un bacino artificiale che si estendeva fino al Monte Grifone e una dimora con un imbarcadero per gli usi di diletto e di riposo delle corti, prima arabe e poi normanne, una volta che la Sicilia fu sottratta agli arabi. Il bacino fu adibito a Peschiera, introducendo pesci di ogni tipo e la terra che lo contornava a giardino di aranci, secondo l'uso islamico di esempio di paradiso terrestre quale luogo di delizie dell'aldilà. Gli argini che vennero costruiti, di cui ne restano ampiamente vestigia contornavano un isolotto posto al centro del bacino, anch'esso coltivato ad aranceti che persiste ai giorni nostri e attualmente coltivato a mandarineto.
E' raggiungibile con un ponticello a ricordare la separazione di questa montagnola, circondata dalle acque, dal resto del terreno ove sorge il Castello. Il sito ha ottenuto il premio Scarpa per l'ottima conservazione del luogo e delle coltivazioni che erano in uso nel lontano 1100, la conservazione di tutta questa area si deve alla natura argillosa del terreno che ne ha da sempre impedito l'edificazione, contrariamente a quanto è avvenuto nei pressi del Castello che invece è soffocato dalle abitazioni e divenne anch'esso dimora di civili (fino a 70 famiglie) in questo secolo in corso.
Dopo gli arabi, nel 1328 Federico II lo cedette ai Cavalieri Teutonici della Magione che ne fecero un Ospedale e successivamente passata ai Bologni fu un' azienda agricola per la coltivazione della canna da zucchero, così prese la zona un altro nome: Falsomiele.
Nell'impianto dell' edificio si riconoscono una facciata in blocchi di tufo con un ingresso principale che introduce ad un atrio che fungeva da zona di ricevimento e un cortile in fondo, cui si accede tramite un arco, ove si riconoscono le vasche ove veniva raccolta l'acqua che alimentava le terme, ora perdute, e sulla destra l'impianto esterno della cupoletta e della torre della cappella di S. Filippo, posta all'interno del Castello.
Accanto a questa si sono portate alla luce spezzoni dell'antica piastrellatura del cortile e procedendo sempre a destra il muro perimetrale del Castello a cui, in questo tratto, era poggiato un porticato con colonne. Si intravedono infatti i resti degli archi poggiati alla facciata che sorreggevano il porticato. Si aprono, sempre su questa facciata, finestre oblique - quasi feritorie -, con la duplice funzione di schermare la luce all'interno delle stanze e di impedire l'ingresso della calura. In fondo e sui lati, il cortile è chiuso da un muro ove si riconosce ancora la malta idraulica dal colorito rossastro che aveva la funzione di proteggere dall'umidità dell'acqua che giungeva fino al Castello. In questo cortile ci sono ancora abitazioni di civili che non si è riuscito ad espropriare.
L'interno del Castello, attraversato l'ingresso principale nell'Atrio sulla sinistra, introduce alla cappella, passando sotto un 'apertura nel muro sovrastata da un decoro che si ritrova in alcune moschee dell'Africa del Nord, un motivo ventagliato, pieghettato.
La cappella, modificata da Federico II da una precedente area dedicata alla preghiera, abbassando a torretta il minareto e realizzata la struttura a croce latina, contiene uno spazio angusto e, guardando verso l'alto, si riconosce la torretta con le aperture e le muquarnas e l'ogiva dell'abside in fondo.
Dalla parte destra dell'atrio si accede alle stanze interne, la prima ampia era dedicata al sovrano, si riconoscono tre motivi sulla parete in fondo e in alto che ricordano le muquarnas e un foro sulla sinistra che disegnava sul pavimento, per il fascio di luce che proiettava forse una meridiana. Non si sa molto.
In fondo alla sala un corridoio introduce a quelle che furono le stanze del seguito.
Sono
stati ritrovati diversi reperti come anfore e condutture di coccio in
perfetto stato e risalenti a quell'epoca pronti per sostituire gli
eventuali guasti della conduttura idraulica che regolava il livello del
bacino permettendone dopo l'apertura delle chiuse il deflusso dell'acqua
che irrigava i giardini. Altre maioliche originali risalenti al 700
che rivestivano i pavimenti in epoche successive, sono conservate
assieme ad un plastico del Castello e del bacino.
Clotilde Alizzi
I fasti del passato si scontrano con l'incuria del presente. Per fortuna è in atto da diversi anni una rivalutazione del sito a cura di un'associazione che ha cercato di riportare alle luce il più possibile strappando il Castello dall'abusivismo edilizio e rendendolo fruibile al pubblico.
RispondiEliminaTi ringrazio Clotilde per avermene consigliato la visita, è stato davvero interessante.
Annalisa B.
Mai visitato.ho perso l'occasione e vederlo con voi, sarebbe stato ancora più interessante. Brava Cla sempre esaustiva.
RispondiEliminaMai visitato.ho perso l'occasione e vederlo con voi, sarebbe stato ancora più interessante. Brava Cla sempre esaustiva.
RispondiEliminaAnch'io ho perso l'occasione di vedere con voi questa meraviglia. Tre castelli, tutti e tre a Palermo, possiamo ritenerci fortunati, almeno in questo. Grazie, Clotilde , una guida eccezionale.
RispondiEliminaRosaL.
Grazie Clotilde per le tante notizie che ci porgi con elegante scrittura. Attenta ai particolari e ricca di elementi. Brava!
RispondiEliminaNina
questo pezzo grandioso potrebbe essere integrato dalle cronache giudiziarie sull'azienda di calcestruzzi dei fratelli Mafara, caduti nel mirino di Filippo Marchese 'u milinciana
RispondiEliminagd
E allora raccontalo, in questa Giafar Ja'far Maredolce perduta e distrutta dentro l'incuria. Camminare tra i vicoli intorni impari a leggere la storia e lo sviluppo del territorio, pensi ai bambini violati di Brancaccio a Padre Puglisi, a lui che si aggirava in mezzo a questi volti a queste vite, e le senti tutte addosso dai balconi dalle inferriate che ti piovono addosso così curiosi e avidi di capire chi si aggira tra loro.
RispondiEliminaSenti il loro alito che puzza di tabacco putrido, i volti scuri, gialli, ...
Dei tre luoghi di delizia era l'unico che mi mancava. Ma la tua descrizione del castello e il commento dopo Giorgio me lo rendono vivo come se lo avessi sentito con i miei occhi e orecchi e olfatto. Grazie Clo. Gran bel pezzo dettagliatissimo. Fab
RispondiElimina